Tre mesi di immobilità sono stati duri da gestire, con lo stop delle gare trail e di tutti gli altri sport a causa dell’emergenza contagio Covid-19. L’attesa è finita tra fine giugno e inizi luglio quando sono arrivate le prime direttive ufficiali per poter riprendere a correre su strada e in montagna. Direttive molto criticate dagli addetti ai lavori, soprattutto dagli organizzatori di gare trail, che hanno visto nelle restrizioni forse troppe responsabilità a carico di chi mette in piedi un evento come le competizioni in montagna.
“Capisco le lamentele di chi organizza gare, perché anche io sono tra quelli, ma solo in parte. Le direttive hanno comunque permesso agli atleti di uscire di nuovo e percorrere i sentieri tanto amati. Le restrizioni purtroppo ci sono e non per decisione della federazione, ma perché c’è sempre una emergenza ancora in atto nel paese”. A Parlare è Paolo Germanetto, responsabile Fidal (Federazione Italiana Di Atletica Leggera) per il mondo del Trail running. La redazione di Trailrunworld lo ha raggiunto al telefono per parlare proprio delle direttive e del loro effetto sul mondo delle organizzazioni trail.
Domanda - Paolo, quali difficoltà avete incontrato nello stilare i report per le direttive post-Covid nel settore del trail running?
Risposta -E’ stato un lavoro molto complesso e meticoloso, stendere protocolli organizzativi richiamati direttamente dai decreti governativi non è una passeggiata, tutte le varie organizzazioni sono state costrette a metterle in atto e adeguarsi. Da organizzatore io stesso di gare, mi ha fatto specie sentire da altri colleghi discorsi tipo “mah, se le cose stanno così non si può organizzare nulla”, come se le scelte fossero di Fidal e non a livello più alto. Si tratta come sempre di prendersi delle responsabilità, applicando dei protocolli. Magari ci sono anche dei costi aggiuntivi rispetto ad altri piani che un organizzatore prevede nel suo progetto. Poi c’è la questione della partecipazione che, parlando a livello di numeri si sta sempre in un certo grado di incertezza. Però se da un lato aumentano ansie e incertezze, bisogna anche vedere il rovescio buono della medaglia e capire che, anche se ci sono una seri di restrizioni, il poter tornare a gareggiare comunque non ha prezzo. Il fatto di avere delle partenze scaglionate con anche 200 persone con le mascherine che poi le tolgono una volta partiti, non mi sembra un ostacolo così insormontabile, anzi. Il tema centrale è sempre la responsabilità dell’organizzatore e l’applicazione dei protocolli che sono sostanzialmente imposti a livello governativo, che possa piacere o meno, non ci sono altre soluzioni. Quello che posso dire è che il gran lavoro fatto in Fidal ci ha dato anche molte soddisfazioni. Tanti di ci hanno fatto i complimenti, anche a livello internazionale. Basti pensare che il comitato di New York ci ha chiesto di poter visionare i documenti perché considerati altamente affidabili. E questo non è poco.
D – Durante la scorsa estate c’è stata un po’ di confusione su tanti aspetti soprattutto per l’organizzazione di gare di livello nazionale. Possiamo provare a chiarire questo argomento?
R – Sì, parliamo delle gare di “Interesse nazionale”. Il mondo trail ha sempre vissuto un po’ fuori dalle federazioni. E’ chiaro che in momenti come questi le direttive dei governi chiamano in causa ovviamente proprio le federazioni. In questo caso ci siamo trovati davanti a decisioni che riguardavano sostanzialmente sport come il calcio di serie A e poi a seguire tutti gli altri sport, e Fidal si è trovata davanti questo tipo di regolamentazioni da applicare poi al nostro settore. Le nostre direttive quindi hanno fatto riferimento a queste norme e non potevamo prendere decisioni diverse, anche se questo aspetto specifico della rilevanza nazionale si è cercato di estenderlo il più possibile.
D – Tornando alle organizzazioni delle gare, molti hanno lamentato l’aumento eccessivo di responsabilità dirette per l’avvio delle gare. E’ stato effettivamente così?
R – Organizzando anche io direttamente le gare mi rendo conto che ci sono una serie di attività e certificazioni in più che bisogna rispettare, ma l’attenzione va soprattutto sull’assembramento. Chi organizza deve dimostrare di aver messo in atto tutte le misure per contenere eventuali possibilità di contagio. La questione di evitare la presenza di pubblico complica ancora di più le cose, con costi che aumentano, come le transennature, le mascherine, ecc. Bisogna dire che in questo momento è più difficile anche la collaborazione a livello di istituzioni locali perché c’è il rischio di creare delle problematiche verso le quali i sindaci o gli amministratori locali non vogliono aver a che fare. Diciamo che poi c’è anche la gestione delle “emozioni” in questo momento, le critiche, soprattutto sui social, no perdonano passi falsi, con foto pubblicate in tempo reale, eccetera. Quindi si è un po’ di più in prima linea e molti pensano quindi di giustificarsi dicendo “non organizzo per via dei protocolli Fidal”. Ma la federazione non fa altro che riprendere i decreti governativi e non ha colpe dirette. Ricordiamoci che c’è sempre uno stato di emergenza in atto e che i regolamenti sono fatti proprio in questa ottica.
D – Pensi che nei prossimi mesi, ammettendo che i contagi riescano a rimanere sotto controllo, ci possa essere una nuova regolamentazione meno stretta sull’organizzazione di gare?
R – Difficile dirlo, è un po’ come lanciare i dadi. Si guarda giorno per giorno a cosa accade ed è difficile dire oggi se tra qualche mese in già autunno si possa presentare una nuova regolamentazione meno restrittiva. Possiamo fare tutte le ipotesi che vogliamo, come ad esempio pensare di fare batterie di partenza da 500 persone invece che da 200…bisogna vedere anche cosa ne pensa il Ministero della Salute, ma in questa fase è difficile dire come si evolverà la situazione. E gli organizzatori ne dovrebbero tenere conto, anche incassando in queste settimane le quote di iscrizione….
D – Ecco, a proposito di questo argomento, cosa ne pensi delle polemiche sorte riguardo alcune grandi gare nazionali sui rimborsi parziali o nulli dei proventi delle pre-iscrizioni?
R – Mah, è sicuramente un argomento spinoso…la prima cosa che mi viene da pensare è che comunque ogni gara ha un proprio regolamento e se c’è scritto ben chiaro quale potrebbe essere la situazione in caso di annullamento, c’è poco da fare polemiche. Alla fine, si potrebbe sempre pensare che non ci obbliga nessuno ad iscriverci a gare in cui non siamo d’accordo sui metodi di eventuali rimborsi. Detto questo, è ovvio che in questo caso straordinario, non ricevere un rimborso, magari anche cospicuo, per una gara annullata per una emergenza così imprevedibile come il Covid, fa storcere un po’ il naso…in alcuni casi le giustificazioni degli organizzatori sono sembrate anche un po’ pretestuose e capisco la rabbia di molti. Una soluzione che vedo equa è quella ad esempio di aprire le iscrizioni facendosi pagare magari soltanto negli ultimi 15 giorni, quando c’è un grado di certezza sull’effettivo svolgimento dell’evento. Alla fine però, sempre meglio guardare bene i regolamenti, ed iscriversi solo quando si è d’accordo su tutto…
D - Rimaniamo in tema di polemiche, ma toccando un aspetto diverso. Il corridore è stato sempre visto nell’immaginario collettivo come una persona quasi eroica, sportiva, dedita ad una vita sana e positiva. All’improvviso, con il lockdown, questa figura ha assunto connotati negativi, quasi da delinquente: come pensate si possa tornare ad una visione più naturale dell’atleta dopo questa campagna così negativa?
R – Nel periodo di emergenza l’emozione ha prevalso un po’ su tutto, e il corridore è stato visto quasi come un untore e non come una persona che vuole solo stare in forma correndo all’aperto. Devo dire la verità, oggi che la paura così forte è un po’passata non vedo più questo “odio” così viscerale che era apparso in quel periodo ormai considerato talmente anomalo, quasi come una cosa a se. Ho visto nelle ultime settimane, anche in piccoli paesi, corridori passare nei centri storici e venire applauditi anche dagli anziani del posto, segno che questo odio forse è stato solo il risultato di una grande paura e basta. E ovviamente questo sentimento nuovamente positivo ci fa piacere…